lunedì 30 novembre 2009

troppi ribassi. Se ne sono accorti

e alla fine il CONI boccia il palazzetto e si comincia a parlare dei troppi ribassi.

da gazzettino.it

Mazzei: «Troppi ribassi
E i comuni non vigilano»

Domenica 29 Novembre 2009,
All’inizio fu il viadotto di Padova Est. Che aprì la strada, perché poi l’eccezione divenne prassi. Consuetudine ripetuta nella costruzione di tutte le grandi opere che si sono realizzate in città: dal centro culturale San Gaetano al Palasport San Lazzaro passando per il cavalcaferrovia Sarpi-Dalmazia, appena inaugurato, e terminando con il Ponte Verde, che collegherà la Fiera con l’Arcella, e il cui cantiere è stato aperto da pochi mesi. Le opere vanno in appalto, la gara viene vinta al massimo ribasso, ma lo “sconto” poi però ritorna sempre. Come? Con perizie suppletive alle quali seguono varianti con adeguamento prezzi e l’inserimento di nuovi lavori imprevisti. E non è tutto, perché a questo magari si aggiungono anche i contenziosi (vedi Padova Est) o le commissioni per l’accordo bonario, come nel caso del viadotto Sarpi-Dalmazia, in cui l’impresa costruttrice iscrive riserve per 23milioni di euro, praticamente la spesa per la realizzazione di un altro cavalcavia considerato che l’importo previsto per costruirlo ex novo era stato, appunto, di 23milioni di euro. E così si scopre, in corso d’opera, che nel progetto definitivo andato in gara per l’appalto manca sempre qualcosa: dalla terra, nel caso del Ponte Verde: 67mila metri cubi su cui appoggiare le rampe del viadotto, ai lavori per la contro soffittatura del Palasport San Lazzaro, o alle tante e innumerevoli mancanze del Sarpi-Dalmazia che oltre alle due perizie in corso d’opera si è poi aggiunta anche la commissione per l’accordo bonario. Nel caso del San Gaetano le varianti furono sei, mentre il Palasport San Lazzaro è lievitato, in pochi mesi, di circa 800mila euro, e il Ponte Verde, ancora prima di aprire il cantiere, di 3,3milioni di euro. Il Sarpi-Dalmazia – messo a bilancio per 23milioni e 328mila euro con l’appalto vinto alla cifra di 10milioni 279mila euro più iva – alla fine è costato oltre 16milioni di euro, e ancora mancano i milioni della commissione per l’accordo bonario. Ma allora cosa succede ai grandi appalti padovani? È evidente come le variabili, ad un certo punto, mettano in crisi il sistema. Ma per quale motivo? Di chi sono le responsabilità? E chi se le assume?
“E’ anni che sosteniamo la necessità di progetti effettivamente esecutivi – dice l’ingegner Filippo Mazzei, vice presidente dei Costruttori padovani e vice presidente della Commissione Lavori pubblici di Ance Veneto – Mi sembra di poter dire che nei casi elencati, per varie e diverse ragioni, ci troviamo di fronte a progetti che di esecutivo hanno solo il nome. Trovo inoltre assolutamente inadeguato il metodo con cui l’amministrazione comunale applica l’istituto della “validazione””. Che l’ingegnere poi spiega: “Validare un progetto significa certificarne l’esecutività. Si tratta quindi di una responsabilità vera e di una verifica profonda. E allora: o questa verifica si fa in maniera efficace oppure, predisposta solo a livello formale, è inutile”. Ma lo sguardo del vice presidente dei Costruttori padovani si sposta anche sul “sistema” appalti: “Credo che su tutto quanto si sta verificando pesi oltremisura il sistema di aggiudicazione al massimo ribasso. La crisi economica ha spinto il limite della competitività oltre la soglia della lecita concorrenza. Molte aziende propongono ribassi privi di fondamento reale a fronte della necessità di poter vantare un portafoglio ordini capace di sostenere l’esposizione bancaria o coprire, nel breve periodo, eventuali debiti”.
“E purtroppo – continua Filippo Mazzei – le amministrazioni pubbliche non sempre hanno le competenze per distinguere un’offerta sostenibile da un puro azzardo. O se anche le hanno, la prospettiva di un risparmio prevale sulla consapevolezza che l’opera non rispetterà i tempi previsti, che le riserve apriranno contenziosi di lungo periodo e che le varianti assorbiranno qualsiasi ribasso d’asta accantonato”. Da qui la proposta: “Urge una razionalizzazione del mercato favorendo le imprese locali nelle procedure negoziate, alzandone la soglia fino a 1milione di euro, e riproponendo un metodo di aggiudicazione che non favorisca un’insostenibile rincorsa al ribasso privo di reali sconti”. Anche perché, dati i precedenti, quante varianti e riserve serviranno prima di arrivare alla conclusione dell’Auditorium di Kada per il quale si parla di un pezzo di almeno 50milioni di euro?
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Il Coni ha bocciato il lifting del palasport S.Lazzaro. La Commissione Impianti Sportivi del massimo organo sportivo italiano non ha concesso l’omologazione per le attività sportive alla struttura che il Comune sta riammodernando da mesi con una spesa che lievita come le torte nel forno. In pratica se dovesse essere pronto oggi per il Coni non ci entrerebbe nessuno, neanche per giocare a... dama.
Un "incidente" al quale il Comune sta cercando di porre rimedio, ripresentando una nuova richiesta che obbedisca alle prescrizioni ma che getta altre perplessità su come è stata gestita tutta la faccenda del "restauro".
Ci mancava infatti anche questa, oltre agli aumenti che dal dicembre del 2008 sono stati prodotti dalla ditta costruttrice, il Consorzio Consta, quando si è resa conto che ai costi dell’appalto non ci stava dentro. Così da 2 milioni e mezzo di euro siamo già a 3 milioni e 300mila. Tutto questo su un progetto definitivo curato dal Comune che avrebbe dovuto avere un grado di precisione tale da non richiedere un euro in più da parte della ditta. Precisiamo, per dirla tutta, che l’assessore allo Sport, Sinigaglia, ha sempre affermato che «l’aumento dei costi è legato a migliorie tecniche che abbiamo voluto noi, investendoci i soldi che avevamo risparmiato col ribasso d’asta».
In quello stesso progetto c’erano delle prescrizioni a cui obbedire, ad esempio quelle dei Vigili del Fuoco e all’Usl. Nessuno però si è preso la briga, con il progetto in mano, e prima di fare l’opera, di chiedere il parere del Coni nazionale. Lo diciamo perché quello del Coni provinciale era stato richiesto, tanto è vero che i lavori erano lievitati di altri 800mila euro su base d’asta perché l’organismo provinciale aveva eccepito che mancava il potenziamento di servizi fondamentali, come gli spogliatoi. E il Comune aveva inserito, oltre al bando per il restauro, ulteriori bandi per le "opere complementari" ovvero una centrale termica potenziata e gli spogliatoi, oper che sono state di recente appaltate.
Però quando la commissione Sicurezza impianti sportivi di Padova ha mandato il suo carteggio completo a Roma per l’approvazione e lì sono arrivati tutti i documenti prodotti dal Comune, il Coni ha fermato tutto. Non già, sembra di capire, per problemi infrastrutturali dell’opera, ma per una questione quasi lapalissiana, riassunta con questo termine: "smaltimento". Ovvero non ci sono strade per entrare e uscire dal palasport in modo adeguato. Insomma ha fatto capire al Comune che non basta fare un bel recupero dello "scatolone" ma bisogna curare anche il resto. Tutti sanno infatti, per esperienza propria, quanto sia problematico andare a seguire un concerto o una partita, oppure trovarsi per caso in quel punto quando il pubblico sta arrivando o uscendo in auto dal palasport.
Il Comune per avere il sì del Coni dovrà come minimo presentare un progetto aggiuntivo, magari prevedendo un’altra strada per lo "smaltimento" e questo non farebbe altro che far lievitare ancora di più i costi. Che per adesso sono aumentati di 200 euro, più 3 per le spese di commissione. È quando costa ripresentare la richiesta di parere a Coni Servizi spa.

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